Esistono due ipotesi di licenziamento per giustificato motivo:

  1. licenziamento per giustificato motivo soggettivo: rientra nella sfera disciplinare. Deriva da un notevole inadempimento da parte del lavoratore degli obblighi contrattuali 
  2. licenziamento per giustificato motivo oggettivo: è originato da ragioni inerenti all’attività produttiva, all’ organizzazione del lavoro  

Il licenziamento motivato da giustificato motivo soggettivo può scaturire da comportamenti disciplinarmente rilevanti del dipendente ma non tali da comportare il licenziamento per giusta causa, e cioè senza preavviso. Anche il giustificato motivo soggettivo pertanto rientra nell’ambito dei licenziamenti di tipo disciplinare, costituendo pur sempre una sanzione a comportamenti ritenuti tali da incidere in modo insanabile nel regolare proseguimento del rapporto di lavoro; vengono fatte rientrare nell’ambito del giustificato motivo soggettivo anche le figure dello scarso rendimento e/o del comportamento negligente del dipendente. Trattandosi comunque di valutazioni sul comportamento del dipendente, anche nelle ipotesi di “scarso rendimento”, costituisce condizione di legittimità del recesso la preventiva contestazione degli addebiti con diritto del dipendente a svolgere adeguatamente le proprie difese.

Quando, invece, il datore di lavoro è costretto a privarsi di alcuni tra i suoi dipendenti che non può utilmente reimpiegare in altri comparti della sua attività per oggettive ragioni di riorganizzazione aziendale, si parla di licenziamento motivato da giustificato motivo oggettivo. Nel caso in cui il datore di lavoro ha la possibilità di ricollocare il lavoratore in altra posizione, sussiste il cosiddetto obbligo di ripescaggio.

Anche in questo caso, qualora il lavoratore ritiene che il licenziamento sia ingiusto, è tenuto ad impugnarlo entro 60 giorni. Il termine per impugnare si calcola a partire:

  • dal momento in cui il lavoratore riceve la comunicazione del licenziamento (se questa contiene anche le motivazioni della decisione del datore di lavoro)
  • dal momento in cui il lavoratore riceve la comunicazione dei motivi di licenziamento (se all’atto del licenziamento questi motivi non erano stati indicati)

Entro il termine di sessanta giorni, in altre parole, il lavoratore deve inviare all’imprenditore una comunicazione (in qualunque forma, anche una semplice lettera raccomandata) con la quale rende noto che intende contestare il licenziamento.

Nei successivi 180 giorni il lavoratore deve:

  • depositare il ricorso nella cancelleria del Tribunale impugnando davanti al Giudice il licenziamento
  • comunicare al datore di lavoro la richiesta di un tentativo di conciliazione presso la direzione provinciale del lavoro oppure una richiesta di arbitrato.

Se questo termine non viene rispettato l’impugnazione del licenziamento non può essere presa in considerazione dal Giudice e si considera inefficace.

Se invece viene richiesta una conciliazione o un arbitrato e il datore di lavoro li rifiuta oppure, pur avendoli accettati, non si riesce a raggiungere un accordo, il lavoratore deve depositare il ricorso nella cancelleria del Tribunale entro 60 giorni.

Nel caso in cui sia riconosciuta dal Giudice l’illegittimità del licenziamento, si opererà una distinzione tra i lavoratori assunti prima del 7 marzo 2015 e quelli assunti successivamente: per i primi, è prevista una indennità che può variare da un minimo di 12 mensilità ad un massimo di 24 mensilità. In questo caso però il rapporto di lavoro si interromperà pur essendo illegittimo il licenziamento.

Se però le ragioni alla base del licenziamento risultano manifestamente infondate (cioè, per dirla in altre parole, se il torto del datore di lavoro è evidente) il Giudice può anche ordinare al datore di lavoro di riprendere alle sue dipendenze il lavoratore.

Per i lavoratori assunti a partire dal 7 marzo 2015, il Giudice  potrà soltanto condannare il datore di lavoro a pagare al lavoratore, ingiustamente licenziato,  una indennità quantificabile in un minimo di 6 sino a un massimo di 36 mensilità,  tenuto conto di quanto contenuto nella Legge 96/2018 (di conversione del Decreto Dignità DL 87/2018) e della sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato incostituzionale l’art. 3 comma 1 del D.Lgs 23/2015 laddove determina il meccanismo automatico del calcolo dell’indennità collegata all’anzianità di servizio

Nei casi di licenziamento per motivazione economica (giustificato motivo oggettivo) il Giudice non ha il potere di disporre la reintegra.

Queste regole valgono esclusivamente nel caso in cui il datore di lavoro che procede al licenziamento occupi più di quindici dipendenti (se imprenditore agricolo più di cinque dipendenti) in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo e, in ogni caso, qualora occupi complessivamente più di sessanta dipendenti.

Se il datore di lavoro non possiede questi requisiti (c.d. requisiti dimensionali) le indennità risarcitorie sono ridotte della metà e non possono comunque superare le sei mensilità.

Il datore di lavoro ha a sua disposizione alcuni strumenti finalizzati ad evitare il giudizio di impugnazione del licenziamento. Egli, infatti, può procedere alla revoca del licenziamento entro 15 giorni dalla comunicazione dell’impugnazione del licenziamento stesso.

In questo caso il rapporto di lavoro si intende ripristinato senza interruzione e il lavoratore ha diritto a ricevere la retribuzione nel frattempo maturata.

Il datore di lavoro può, alternativamente, offrire al lavoratore (nel termine di 60 giorni previsto per l’impugnazione stragiudiziale del licenziamento) una somma (che non va a costituire reddito imponibile e non è assoggettata a contribuzione) pari ad una mensilità della retribuzione di riferimento per il calcolo del T.F.R. per ogni anno di servizio. La somma offerta non potrà mai essere inferiore a 2 mensilità e superiore a 18 mensilità e dovrà essere corrisposta mediante consegna di un assegno circolare. Se il lavoratore accetta l’offerta, il rapporto di lavoro si intende estinto alla data del licenziamento e l’impugnazione rinunciata, anche se nel frattempo già proposta.

In determinate condizioni, le norme previste dal Jobs Act possono applicarsi anche ai contratti di lavoro stipulati prima della sua entrata in vigore.

Infatti, nel caso in cui il datore di lavoro, in conseguenza di assunzioni a tempo indeterminato avvenute successivamente al 7 marzo 2015 (data di entrata in vigore del decreto) vengano ad occupare più di quindici dipendenti (se imprenditore agricolo più di cinque dipendenti) in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo e, in ogni caso qualora venga ad occupare complessivamente più di sessanta dipendenti (come indicato dall’art. 18, commi 8 e 9, dello Statuto dei Lavoratori) il licenziamento dei lavoratori, anche se assunti precedentemente al 7 marzo 2015, verrà disciplinato dalle norme contenute nel Jobs Act. (D.Lgs n. 23/2015).

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